Memorie della Basilica orsiniana nei taccuini di Cavoti
Quella sera la chiusura del museo galatinese per i visitatori coincideva con la fine del suo tirocinio lì. Anna affronta in solitaria le sale, per un ultimo saluto e avverte già una certa malinconia. Il Museo Civico le mancherà, moltissimo.
Una voce all’improvviso pronuncia il suo nome nella quiete della sala dedicata alla Basilica di Santa Caterina d’Alessandria. Un sussulto e il cuore a mille per lo spavento. Anna sa di essere sola, è sicura che tutti i visitatori abbiano lasciato il museo. Quella voce tuttavia ha pronunciato chiaramente il suo nome: chi poteva essere?
Si volta e si guarda intorno, timorosa. Scorge poi un’ombra. “Chi sei?” chiede, impietrita sul posto.
“Non avere paura, Anna”, le risponde tranquillo l’ombra. “Sono Pietro Cavoti”
“Se è uno scherzo, non è divertente” replica Anna, inquieta e pronta ad allontanarsi da dove è arrivata.
Pietro Cavoti era nato a Galatina nel 1819 e forse proprio ai suoi natali doveva il suo amore per l’arte e la storia. Aveva studiato al Real Collegio dei Gesuiti di Lecce, e poi insegnato calligrafia, francese e disegno, e vissuto a Napoli e poi a Firenze, dove era rimasto per ben quindici anni. A lui era dedicato quello stesso museo, che era stato il Collegio dello Scolopi dove Cavoti stesso era stato docente. E adesso quello sconosciuto, celato dall’ombra, dichiarava di essere quell’illustre concittadino, defunto da ben oltre un secolo.
“Se fosse vero, starei parlando con un fantasma” aggiunge la giovane con un sorriso nervoso.
“Sui miei taccuini, oggi conservati qui al museo, ho annotato tutti i particolari, tutte le mie personali annotazioni e li ho arricchiti con schizzi e disegni. Li hai visti?”, suggerisce per conto suo l’ignota presenza.
“Come potevo non vederli?!”. È sempre confusa e incerta, ma non riesce a non rispondere e soprattutto rimane lì ferma, senza seguire l’istinto di andare via. “Sono dei pezzi magnifici”. Lo pensava davvero, le sarebbe piaciuto guardarli meglio ma sapeva che erano molto preziosi e fragili, quindi si era accontentata come tutti gli altri ad ammirarli solo attraverso le teche.
“Sono degli appunti per me molto preziosi che mi hanno aiutato anche a mettere ordine alle mie idee sparse.”
Sembrava convinto di essere chi dichiarava di essere.
“Quando Sigismondo Castromediano, nel 1877, mi nominò Ispettore ai Monumenti storico-artistici,” continua muovendosi con passo misurato e conservando la distanza dalla sua interlocutrice, “puoi ben immaginare che per me è stato così naturale partire dalla nostra bellissima Basilica di Santa Caterina d’Alessandria.” Come dargli torto! La Basilica è ancora oggi il fiore all’occhiello di Galatina. Si sofferma a studiare la sua figura, il taglio degli abiti percepibile nell’ombra, il profilo su cui si scorgevano i baffi e la barba sporgente dal mento e i capelli che si aprivano sul bavero della giacca. Una somiglianza c’era, le ricordava il busto fuori, vicino all’ingresso del museo.
“Grazie al clima di rinascita italiana, la Basilica, conosciuta prima solo da alcuni eruditi, è diventata così uno tra i primi monumenti ad essere dichiarata Monumento Nazionale e sono felicissimo che sia sempre più conosciuta nel mondo”, afferma, come un professore in cattedra e le braccia incrociate dietro alla schiena. “Sai che la data incisa sul portale di sinistra, 1391, è considerata il termine entro il quale la chiesa fu costruita, iniziata probabilmente nel 1383, data ricavata invece da alcuni documenti francescani? E sai che a volerla fortemente fu uno dei più importanti cavalieri del Regno di Napoli, Raimondello Orsini del Balzo?”
Anna si limita ad annuire. Quelle sarebbero le basi, anche se solo ci si approccia alla storia della Basilica di S.Caterina.
Il presunto Cavoti continua: “Nei miei taccuini troverai molte immagini dedicate a lei, non solo della facciata ma anche gli interni con i suoi meravigliosi affreschi con scene del Vecchio e Nuovo Testamento. Saprai anche che oggi si vede l’aggiunta realizzata alla metà del Quattrocento dal primogenito di Raimondello, Giovanni Antonio, dove al centro è posto il monumento a lui dedicato. Quegli interventi però portarono a sfondare il muro del presbiterio sul quale era posto il monumento funebre di Raimondello, che ora si trova sul lato sinistro. Quello che non puoi più vedere però è la disposizione del coro ligneo intorno all’altare e la separazione con una grata in ferro.”
Anche Anna, in verità, aveva ben chiaro ciò che Cavoti le raccontava pur non avendolo visto. Un bell’ingrandimento del taccuino dello studioso, proprio di quella pagina e di quei dettagli appena descritti le avevano permesso di immaginare il presbiterio della Basilica prima delle modifiche. “Ti ringrazio, Anna, di avermi ascoltato.” La voce la sorprende persa nei suoi pensieri. “Sai, ogni tanto, quando mi sento solo vado nella stanza dedicata alle opere di Gaetano Martinez, nostro compaesano, e mi metto a parlare un po’ con le sue statue”. Avverte un sorriso tra le sue parole. “Ma parlare con qualcuno è proprio un’altra cosa.” Si congeda da lei, mentre Anna era ancora intenta ad osservare il pavimento originale della Basilica esposto in una teca. Si volta ma non vede più nessuno. L’ombra era scomparsa da ovunque fosse arrivata.
Forse aveva immaginato tutto. Aveva avuto sempre l’impressione che l’energia, lo spirito di Pietro Cavoti sopravvivesse tra i suoi appunti, in quel luogo. E quella suggestione doveva aver preso corpo, un’allucinazione dovuta al rammarico di lasciare quelle sale. Un saluto alla vera anima di quelle pagine mentre chiudeva per l’ultima volta il Museo.
Testo di Silvia Pellegrino
Illustrazioni di Lilith Chevalier
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