Palazzo Gallone a Tricase: la Turris Magna e i suoi graffiti
Il Palazzo dei Principi Gallone (sede della Città di Tricase) è il più sontuoso monumento culturale della città di Tricase. Sorto sul sito di un precedente insediamento castellare angioino, è stato costruito in tre grandi periodi storici. Articolato attorno alla struttura originaria tardo-medievale della Turris Magna Orsiniana, eretta tra il 1401 ed il 1406 da Raimondello Del Balzo Orsini Principe di Taranto, il palazzo vide crescere il suo corpo di fabbrica per volere della famiglia Gallone che ha segnato la storia della città dal XVI secolo in poi.
I Gallone, mercanti di olio, scelsero il basso Salento come sede dei loro commerci, e dopo una serie di vicissitudini economiche a loro favorevoli, il 20 dicembre 1588, acquistarono la Terra di Tricase. Abitando in un palazzotto ai margini della Cittadella fortificata scelsero di costruire una residenza baronale, unendola alle spalle della Turris Magna. Nasce così una dimora dalle sobrie linee rinascimentali, affacciata sulla Piazza Antica (l’odierna piazza don Tonino), contrapposta alla chiesa Matrice e alla sede dell’Università Civica. Con il passare degli anni, i Gallone accrebbero il loro potere fino ad ottenere il titolo principesco, concesso da Filippo IV nel 1651. Sarà allora che Stefano II, primo Principe di Tricase, decide di edificare una residenza degna dell’alto rango raggiunto e per fare ciò acquista una serie di abitazioni a ridosso delle mura che andavano dalla Torre Orsiniana al cinquecentesco Bastione lanceolato. La dimora principesca, che si affaccia su un lato dell’attuale piazza Pisanelli, viene in tal modo edificata tra il 1657 e il 1661.
La struttura era talmente imponente per il periodo in cui vide la luce, che diede adito alla leggenda delle 365 stanze, una per ogni giorno dell’anno. La sua grandezza portò il Palazzo Principesco di Tricase ad assumere il ruolo di prototipo delle grandi residenze nobiliari sviluppatesi in Terra d’Otranto sul finire del XVII secolo.
Varcando la soglia del portone principale, sovrastato dallo stemma dei Gallone, sotto all’androne, s’incontra la prima delle sorprese. Tra le tre maschere apotropaiche spicca un volto con un paio di occhiali, piuttosto insoliti nel 1600 salentino… Probabilmente si tratta di Stefano II Gallone.
Nell’atrio del castello si slancia la finta facciata settecentesca con il ricco portale e sormonta dal passaggio degli arcieri. Sul lato baronale del palazzo, si trovano le scuderie, dove la copertura a botte è affrescata con scene legate alla vita nella scuderia. Tali pitture, databile alla fine del XVI secolo, sono sinonimo della grande raffinatezza dei Gallone, che da grandi mecenati fecero decorare persino gli ambienti destinati ai cavalli.
A piano terra, in quelli che erano gli ambienti destinati alle cucine e alla servitù si trova la sede del G.A.L. Capo Santa Maria di Leuca. Al primo piano, interamente occupato dagli uffici comunali, fa bella mostra di sé il portale seicentesco della “Sala delle Armi”, l’attuale aula consiliare. Il secondo piano è monopolizzato dallo splendore della “Sala del Trono”, un grande ambiente rettangolare voltato a capriate e pavimentato in stile veneziano con al centro l’arma araldica dei Principi Gallone. Colpisce la disposizione dello stemma rivolto verso la parete lunga della sala, dove originariamente era sistemato il trono, in linea con i canoni dell’impostazione fiorentina seicentesca. Sulla parte alta di una delle pareti si aprono le 12 finestrelle del matroneo dalla quale si affacciavano gli arcieri, per controllare la sala nei momenti delle adunanze, e le dame e la servitù che non potevano partecipare ai numerosi balli di corte.
L’ala a sud, è interamente occupata dalla sede del Museo Civico, nel quale si conservano alcune delle testimonianze della storia di Tricase. Dall’altro lato della Sala del Trono si susseguono una serie di ambienti, tra i quali la Sala degli Stucchi Gallone-de Gaeta che apre lo spazio della struttura baronale, sino a giungere nel luminoso Loggione Gallone-Sersale. È da qui che si accede alla Turris Magna Orsiniana.
Da questa si apre l’accesso sia alle stanze di passaggio per l’ingresso diretto nella chiesa Matrice, sia al “Balcone dei Principi”, sistemato sopra la Porta della Terra, che permette uno sguardo d’insieme sulle due piazze principali della città. Ma se scendendo in uno dei piani inferiori della torre si trovano le prigioni, costituite da due piccole stanze con le pareti interamente ricoperte da graffiti, lasciati dai prigionieri durante la loro detenzione a cavallo tra i secoli XV-XVI.
I graffiti nelle prigioni della Turris Magna
La Torre Orsiniana è impostata su un’elevata base scarpata la torre e, con i suoi 25 metri d’altezza, è una delle strutture difensive più imponenti di Terra d’Otranto. A Tricase fungeva da baluardo a protezione della Cittadella fortificata, insieme alle altre dodici torri minori. Disposta su quattro livelli, l’accesso era garantito da un ponte levatoio che dalla facciata più protetta portava al primo piano, mentre da una scala interna si accedeva all’ammezzato costituito da due piccole e basse celle situate nel cuore della torre: le prigioni. La camera più piccola ha favorito la nomea di Torre della Fame perché in quest’ambiente erano rinchiusi i prigionieri costretti a morire di fame, e in effetti sulle pareti di questa stanza vi sono pochissime tracce di graffiti, per ovvi motivi.
Nella stanza più grande, tre delle quattro pareti verticali sono interamente ricoperte da incisioni d’ogni genere: iscrizioni, volti umani, animali, arbusti, imbarcazioni, croci. Quest’insieme di graffiti costituisce uno specchio della vita di Tricase nei secoli XV e XVI. Sulla parete frontale si distingue, per esempio, la chiara sagoma di un leone che può rimandare l’attenzione a popoli orientali o alla Repubblica di Venezia di cui il leone di San Marco ne era il simbolo. Tricase di fatto aveva molti rapporti commerciali con la città lagunare che governava l’intero mare Adriatico, considerato fino al Canale d’Otranto come Golfo di Venezia. Il graffito più bello dell’intera prigione è però il busto di un soldato: gli abiti, il cappello, il fodero appeso in vita e soprattutto la sciabola impugnata ne lasciano intendere le origini orientali. Questo graffito è il meglio definito fra tutti: il volto del milite è solcato da una barba ben curata, mentre si scorge un orecchino al lobo sinistro; dalla raffinatezza degli abiti e dal copricapo pronunciato e arricchito da una punta (di struzzo) si può risalire alla figura di un Giannizzero, uno dei componenti del corpo scelto della milizia turca. I giannizzeri erano giovani prigionieri cristiani catturati e convertiti alla religione dell’Islam, e generalmente ricoprivano cariche importanti negli eserciti.
La parete di fondo, caratterizzata da un incavo nel muro e dal taglio della finestra è incisa da graffiti di marinai, pescatori e viaggiatori. Osservando la nicchia si delineano sul fondo due grandi gruppi di incisioni, una serie di pesci che circondano una bella imbarcazione a remi e una croce patente. I pesci sostituiscono le classiche tacche verticali con cui i prigionieri contavano i giorni, in un pesce, ogni squama è il segno di un giorno; testimonianze simili sono presenti in alcune prigioni del napoletano. Sulle pareti laterali della stessa nicchia sono presenti numerose civette che rappresentano il volatile benaugurale dei marinai. La civetta è comunemente conosciuta come volatile della notte, essa era portata a bordo dai marinai perché in caso di tempesta e di smarrimento della rotta, lasciata libera, grazie al suo forte senso d’orientamento, volava verso la terra ferma più vicina. La civetta simbolo di salvezza per un marinaio in mare aperto era l’immagine della libertà per un marinaio in prigione.
Nelle celle della Turris Magna furono rinchiusi non solo ladri, evasori, o malviventi, ma anche persone istruite e in vista nella società del tempo come poteva esserlo un Arciprete. Sull’architrave destra della nicchia, infatti, si trova l’iscrizione: “io domino Dominico Paduano IIII”. Don Domenico Paduano, parroco di Caprarica del Capo dal 1616 al 1633, poco ligio al suo dovere, personalità turbolenta più che uomo di chiesa, fu rinchiuso in prigione per quattro giorni come testimoniano le quattro tacche poste sotto al suo nome.
Nel taglio della finestra, unico punto luce della prigione e pertanto luogo dove i prigionieri passavano la maggior parte del loro tempo, si ha un forte stratificazione dei graffiti. In questo spazio si concentrano varie tipologie di croci dalla greca alla latina, dalla patente a quella di malta.
Sull’ultima parete un unico “ciclo di graffiti” raffigura una scena di un combattimento avvenuto presumibilmente dopo l’eccidio dei Martiri otrantini propugnato dai Turchi nel 1480. Le fonti documentarie attestano l’incessante attacco che gli Ottomani sferrarono all’intero Salento arrivando fino a Santa Maria di Leuca. In quei frangenti attaccarono anche Tricase, fortificata in quegli anni solo dalla Turris Magna voluta dall’Orsini. Al centro della scena si leggono i lineamenti precisi della Torre circondata da soldati armati di tutto punto e protetti da corazze a motivi rettangolari, tipici delle armature orientali. Di contro, a difesa della porta della Torre troviamo l’unico soldato “dei nostri” con armatura a bande verticali, proprie degli occidentali. Sulla destra dell’assalto due soldati, raffigurati in misure maggiori rispetto all’intero corpo armato invasore, combattono. Sulla sinistra si riconosce un soldato occidentale (con la sua armatura a bande verticali) intento a duellare contro un turco (con armatura a motivi rettangolari) che lo anticipa colpendolo al capo.
Questi sono solo alcune delle tracce e testimonianze incise nella prigione della Turris Magna di Palazzo Gallone. Per scoprirne tutti i segreti, segui gli itinerari e gli appuntamenti di The Monuments People.
Michele Turco
Carlo Vito Morciano
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